La banda di rumeni aveva colpito in una pelletteria di Piancastagnaio
Erano riusciti a rubare 58 borse di griffes rinomate ed estremamente costose, prodotte in una pelletteria di lusso di Piancastagnaio. Un piccolo tesoro, oltre centomila euro, che sarebbe stato immesso illegalmente nel mercato.
Dopo sei mesi di indagini i carabinieri hanno identificato quattro fra gli autori del furto e sono in attesa dell’identificazione dei restanti. Due si trovano già in carcere per reati analoghi, uno a Firenze e l’altro a Bollate, un terzo indossa un braccialetto elettronico all’interno del luogo di detenzione domiciliare, mentre solo il quarto era libero.
Le indagini hanno fatto emergere che il sistema di sicurezza della pelletteria derubata aveva una serie di pecche che avevano reso più difficile l’identificazione dei malviventi, ma a far cadere in trappola i tre rumeni di etnia Rom e un bosniaco, tutti residenti in Lombardia, è stato il classico, vecchio ma efficace posto di blocco.
L’individuazione degli autori del furto a Piancastagnaio arriva a pochi giorni dall’arresto degli undici albanesi specializzati in reati predatori ed ora, dopo sei mesi di indagini, di accertamenti e ricerche, emergono i componenti della banda di rumeni che aveva colpito nella zona artigianale “La Rota” di Piancastagnaio, il distretto principe della pelletteria di lusso nella provincia di Siena.
Erano state portate via oltre cinquantotto borse di alcune fra le griffes italiane più note, rinomate e costose. Il valore finale sul mercato del bottino superava il centinaio di migliaia di euro.
I Carabinieri di Piancastagnaio avevano subito individuato una serie di pecche nel sistema di sicurezza in quell’area. Sistemi di allarme che non erano partiti, probabilmente perché male utilizzati o male inseriti e un dedalo di telecamere, diverse malfunzionanti, che aveva restituito soltanto delle immagini notturne di due auto e fortunatamente delle relative targhe, mentre di alcuni personaggi che le utilizzavano e che si muovevano sulla scena del delitto risultava praticamente impossibile ricostruire le fisionomie.
Una delle autovetture era intestata a un’italiana di 52 anni con svariati precedenti di polizia ed alla quale è intestata una serie di auto. La donna appariva essere la classica prestanome che si intesta automezzi in uso a malfattori e riceve qualcosa in cambio per questo servizio.
Il secondo automezzo invece risultava di proprietà di una rumena della quale, con molta fatica, era possibile ricostruire un chiaro legame con uno dei rumeni che verrà denunciato in seguito. Emergeva poi che, quella notte era scattato un allarme che aveva fatto intervenire la vigilanza privata, che però non aveva rilevato presenze estranee, probabilmente perché i ladri si erano ben nascosti o perché avevano volontariamente fatto scattare l’allarme per saggiare i tempi di reazione della sicurezza interna. Fatto sta che le diverse ispezioni notturne nulla potevano rilevare.
Considerati questi aspetti, i militari dell’Arma ponevano in essere una certosina attività di ricerca, dapprima sui sistemi di sicurezza di quegli opifici, poi sulle targhe dei mezzi individuati e infine tramite le svariate strumentazioni elettroniche che costituiscono spesso la carta vincente nelle investigazioni di ogni genere. Alla fine però era il più tradizionale mezzo di ricerca a fornire i risultati migliori, che si andavano a combinare con quanto acquisito.
Una delle due autovetture era stata fermata dalle forze dell’ordine poco più di un’ora dopo il furto e i 4 componenti di quell’equipaggio erano stati compiutamente identificati in quell’anomala ora notturna.
Cosa fanno nel cuore della notte sulle colline dell’aretino, tre rumeni di etnia Rom e un bosniaco residenti in Lombardia? Anche i tempi di percorrenza dal luogo del furto a quello del posto di controllo apparivano compatibili con la consumazione del furto stesso. Solo della refurtiva non vi era traccia, evidentemente trasportata con un altro mezzo, dai complici dei quattro.
Alcuni di tali personaggi erano successivamente stati fermati dal Radiomobile dei Carabinieri di Montalcino a Buonconvento. Uno di essi si era giustificato raccontando di essere diretto a Piancastagnaio in via Tevere, ove avrebbe risieduto un suo zio. Ma in via Tevere non risiede nessuno, vi sono solo piccoli e grandi opifici che producono pelletteria. Forse quel signore sapeva solo di doversi recare in quel luogo per compiere dei furti e non aveva saputo trovare giustificazioni migliori di fronte alle domande dei Militari dell’Arma.
Identificati quattro fra gli autori dei reati e in attesa dell’identificazione dei restanti, emergeva che, per fatti analoghi, due di essi si trovavano in carcere, uno a Firenze e l’altro a Bollate, un terzo indossava un braccialetto elettronico all’interno del luogo di detenzione domiciliare, mentre solo il quarto era libero. Si resta ora in attesa delle determinazioni della Procura della Repubblica di Siena (PM Natalini) che ha coordinato le indagini, che proseguono per ulteriori approfondimenti.