Fallimento prova di grandezza: Leo Gullotta ai Rinnovati con “Bartleby, lo scrivano”

Di Redazione | 11 Febbraio 2020 alle 14:02

Fallimento prova di grandezza: Leo Gullotta ai Rinnovati con “Bartleby, lo scrivano”

In scena dal 14 al 16 febbraio, ispirato al racconto di Herman Melville

Immagina una Wall Street di più di un secolo fa, Francesco Niccolini, nel suo spettacolo “Bartleby, lo scrivano” in scena al Teatro dei Rinnovati dal 14 al 16 febbraio, e ispirato al racconto di Herman Melville.

Una produzione Arca Azzurra Produzioni che affida la regia a Emanuele Gamba e l’interpretazione al grande Leo Gullotta insieme a Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti e Lucia Socci.

Nello studio di un avvocato, gentile e anonimo, ogni giorno scorre identico, noioso e paziente, secondo le regole di un moto perpetuo beatamente burocratico, meccanico e insensato. Tutto si ripete come in uno di quegli orologi per turisti che si trovano nelle piazze della città antiche: il tempo viene scandito da un balletto senza senso, ma soprattutto senza inizio e senza fine. In questo luogo popolato da una curiosa umanità: due impiegati che si odiano fra di loro, una segretaria civettuola, e una donna delle pulizie molto attiva e fin troppo invadente, un giorno, viene assunto un nuovo scrivano: Leo Gullotta. “Ed è come se in quell’ufficio – spiega Francesco Niccolini – sempre uguale a se stesso da chissà quanto tempo, fosse entrato un vento inatteso, che manda all’aria il senso normale delle cose, e della vita. Eppure, è un uomo da nulla. Copia e compila diligentemente le carte che il suo padrone gli passa. Finché un po’ di sabbia finisce nell’ingranaggio e tutto si blocca. Senza una ragione. Senza un perché”. Bartleby, infatti, decide di rispondere a qualsiasi richiesta con una frase che è rimasta nella storia: “avrei preferenza di no”. Solo quattro parole, dette sottovoce, senza violenza e senza senso, ma tanto basta. Un delicato rifiuto che paralizza il lavoro e la logica: una sorta di inattesa turbolenza atmosferica che sconvolge tanto il lavoro quanto la vita intima del datore stesso.

“Da quel momento – aggiunge Francesco Niccolini – il protagonista si spegne. Sta inerte alla scrivania, poi in piedi per ore a guardare verso la finestra; smette di uscire durante le pause, non beve, non mangia, arriverà a dormire di nascosto nell’ufficio, preoccupando (prima, e impietosendo poi) il suo principale che non riesce a farsi una ragione di quel comportamento. Il fatto è che Bartleby, semplicemente, ha deciso di negarsi. Perché? Quando lo scopriremo, sarà troppo tardi. Il suo silenzio inspiegabile ci turba e ci accompagna da un secolo e mezzo: perché sulla sua scrivania non batte mai il sole? Perché non è possibile salvarlo? Perché non vuole essere salvato? Abituati all’idea di sviluppo e crescita senza limite con la quale siamo cresciuti, Bartleby ci lascia spiazzati: in lui nessuna aspirazione alla grandezza, solo rinuncia. In barba ai vincenti, ai sorrisi a trentadue denti, agli eternamente promossi e ai trend di crescita. Come se lui, il povero Bartleby simbolo della divina povertà, portasse sulle sue spalle il lutto per le titaniche e deliranti ansie di vittoria ed espansione del nostro mondo”.



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