C’è una categoria di attività fino ad adesso rimasta in silenzio. Ma che con il Dpcm di inizio anno ha subito una forte battuta di arresto causa l’obbligo di chiusura alle 18. Parliamo delle enoteche e delle attività che fanno vendita di bevande. In tutta la provincia di Siena gli esercizi classificati con codice ateco 47.25, ovvero vendita di bevande, attive sono ben 6.085. Quindi non pochi esercizi. Stanchi delle conseguenze che tutto questo sta provocando. Anche perché nella normativa ci sono delle incongruità.
“Il divieto di vendere da asporto dopo le 18 riguarda le sole attività con codice Ateco 47.25. non anche i supermercati o altri negozi che vendono anche bevande. Il silenzioso disagio che vive questa categoria è aggravata da questo fatto – fa notare Gianpaolo Betti, responsabile Confcommercio Siena per il settore – Hanno tagliato solo il nostro lavoro e impedito a noi, alle enoteche, di lavorare dopo le 18. Non per tutti è così, come abbiamo detto”.
Una situazione non più sostenibile. Dalle enoteche arriva il grido di dolore e la richiesta di rivedere la normativa. “Fateci lavorare anche dopo le 18. Il fallimento sociale di comportamenti responsabili non possono ricadere sul sistema produttivo – fa notare Betti – Si può fare a meno di andare al bar, al ristorante o in enoteca, ma dietro queste strutture ci sono delle persone che lavorano e danno lavoro. E non ne viene tenuto conto in modo soddisfacente e sufficiente: bar, enoteche, ristoranti ecc.. sono posti di lavoro che stanno venendo meno. E’ minore reddito e minori risorse anche per quel sistema sanitario che si prende cura di coloro che di bar ecc.. possono fare a meno. Se per impedire di mangiare una mela avessero scelto di tagliare gli alberi di mele, avremmo lo stesso effetto che questi divieti stanno producendo sul sistema economico”.
Occorrono certezza, programmazione, ristori e investimenti per costruire le città e dunque le attività economiche post pandemia. “Ancora così non è – sottolinea Betti – Ma è questa la direzione verso cui andare. Per questo è veramente sconfortante il pensiero che ad un anno esatto dall’inizio della pandemia, navighiamo ancora nel mondo dei forse e dei si potrebbe. Questo andare a tentoni sta uccidendo il sistema economico”.