La terapia del sorriso: l’esperienza di un clown di corsia

Proseguono le storie tratte dal progetto ‘Love Project’, ideato dal senese Niccolò Innocenti

Di Redazione | 15 Aprile 2025 alle 15:00

La terapia del sorriso: l’esperienza di un clown di corsia

Dopo Giulia e Beatrice pubblichiamo un’altra storia tratta dal progetto ‘Love Project’, ideato dal senese Niccolò Innocenti, che è molto seguito sui social, soprattutto Instagram e Tik-Tok. Questa volta insieme a lui scopriremo una medicina straordinaria che cura tutte le malattie, per cui non serve alcuna ricetta: il sorriso. Ogni settimana, più di quattromila clown di corsia in tutta Italia, portano questa medicina in oltre 200 strutture ospedaliere e sanitarie. Cristina, o come preferisce essere chiamata lei “Clown Stonata”, è una di loro: da più di 10 anni “libera il tempo”, come spiega lei stessa, per dedicarlo agli altri, raggiungendo così il suo scopo di essere di aiuto a qualcuno.

“Ogni stanza in cui entriamo è un salto nel vuoto perché non sai mai come ti accoglieranno, se saranno contenti o non saranno contenti, se sorrideranno o se ti manderanno via. Devi essere in grado di gestire la situazione, ma questo avviene dopo un po’ che ti alleni nel farlo.” Le domande, dunque, sorgono spontanee: un clown si allena? E come si diventa clown di corsia? Il corso per diventare clown di corsia dura tre giorni, ma non bastano assolutamente” – ci spiega Cristina. Per questo motivo, vengono regolarmente organizzati degli incontri (che loro chiamano allenamenti) dove altri volontari organizzano attività come tecniche di improvvisazione o gestione emotiva, ad esempio.
Dopo qualche allenamento puoi andare in servizio, ovviamente accompagnato da qualcuno di più esperto. “Questo percorso ti mette alla prova, e ti fa capire soprattutto quanto sei disposto a metterti in gioco” – afferma lei. “La cosa più importante è imparare a gestire le nostre emozioni e scaricarle alla fine del servizio per non portarcele a casa. A volte capita di essere sensibili a una situazione per questioni personali, noi andiamo lì
per far sentire leggera e spensierata la gente, non ci possiamo permettere di sovraccaricare l’ambiente”.

Poi Cristina si apre con noi ricordando un episodio in particolare: “Diversi anni fa, in oncologia pediatrica, ho trovato un bambino dell’età di mio figlio, nel periodo post chemioterapia. Il bambino non assecondava le nostre proposte e la madre si sentì in dovere di scusarsi, dicendoci che lui non era così, ma lo era diventato dopo tutte le cure. Questa situazione me la sono portata dentro, ma era inevitabile.
Non sono più andata in quel reparto per tanto tempo.” Una chiacchierata toccante e profonda, quella fatta con Cristina, che ha avuto anche la sua parte di leggerezza e divertimento nell’approfondire la questione legata ai nomi dei clown. “I nomi possono essere legati al tuo vissuto e alla tua infanzia. Te lo scegli da solo, ma nessun altro clown della federazione deve avere lo stesso. Io ho scelto Stonata, per le mie incredibili capacità canore” – ride Cristina, facendo dell’autoironia. La clownterapia è nata grazie a un medico statunitense noto come Patch Adams e in migliaia, nel mondo, hanno deciso di seguire le sue orme. Ciò che faceva era trattare i pazienti non da malati, ma come persone, evitando di identificarli con la loro malattia.

I clown di corsia come Cristina “liberano il tempo”: sia il loro, per praticare il volontariato, che quello dei pazienti, cercando di distrarli, per qualche momento, dalla loro difficile realtà e strappando loro una risata. Questo è fondamentale! Perché come afferma Patch Adams “ridere non è solo contagioso, ma è anche la migliore medicina”



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