Lavoro a Siena, il grido d'allarme della Cgil: "4500 lavoratori a rischio"

Oggi il convegno “Lavoro e territorio: occupazione, futuro e prospettive”, un’iniziativa pubblica per fare il punto sullo stato di salute del lavoro nella provincia di Siena

Di Redazione | 11 Novembre 2024 alle 14:30

Sono quasi 4500 le lavoratrici e i lavoratori che in questa provincia sono travolti da processi di crisi, chiusura di stabilimenti, licenziamenti, ore di cassa integrazione e riduzione degli orari in un regime di solidarietà, buste paga che non vengono riscosse in tempo”.

E’ un vero e proprio grido di allarme quello che si alza dalla segretaria della Cgil Alice D’Ercole dal convegno “Lavoro e territorio: occupazione, futuro e prospettive”. Un’iniziativa pubblica per fare il punto sullo stato di salute del lavoro nella provincia di Siena dove l’occupazione recrimina ormai da troppo tempo certezze e stabilità. Minata anche da un gap infrastrutturale che di certo non agevola investimenti. E a soffrire più degli altri è il settore manifatturiero.

Sicuramente la maggiore preoccupazione è sul settore dell’industria, anche perché stiamo vedendo una trasformazione del nostro tessuto che sempre più ha come uniche leve di crescita il turismo e l’agricoltura – spiega D’Ercole. Vogliamo che manifatturiero continui ad esistere. Oggi siamo in una condizione in cui l’industria alimentare, che era Amadori, ha chiuso lasciando a casa 200 persone, le pelletterie amiatine stanno vivendo una crisi senza precedenti con un quarto dei propri dipendenti sotto cassa integrazione, la situazione di Beko rischia ogni giorno di preoccupare sempre di più e a me pare che il destino sia tristemente tracciato”.

Una situazione che naturalmente riflette la crisi che questo Paese sta attraversando – aggiunge Francesca Re David della segreteria confederale Cgil nazionale. Un Paese in cui non si investe da decenni in politiche industriali e le politiche le fanno le multinazionali in modo assolutamente sempre più evidente. E’ un Paese che, pur essendo il secondo paese manifatturiero d’Europa, ha deciso di non contare niente da questo punto di vista”.



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