Faccia a faccia oggi tra il sindaco De Mossi e il presidente della Fondazione Monte dei Paschi Carlo Rossi. Un incontro durato a lungo, sul tavolo l’ipotesi caldeggiata dal primo cittadino che l’ente di Palazzo Sansedoni partecipi all’aumento di capitale della banca con una fiche da circa 30 milioni di euro facendosi così promotrice di una cordata di fondazioni bancarie in grado di coprire circa 100 milioni di euro di inoptato. Un’ipotesi sposata anche dal vicepresidente del Consiglio Regionale della Toscana Stefano Scaramelli e che, in caso, deve essere avallata a stretto giro, non oltre la prossima settimana, prima di quel 17 ottobre, data indicata dall’amministratore delegato di Rocca Salimbeni Luigi Lovaglio come giorno fatidico per il lancio sul mercato dell’aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro. Ma i tempi sono tiranni. L’ipotesi partecipazione per la Fondazione Monte dei Paschi dovrebbe ottenere il via libera sia della Deputazione Amministratrice che della Deputazione Generale e, da statuto, sia l’organo esecutivo che quello di indirizzo necessitano di 5 giorni per la loro convocazione. Vero è che esiste la convocazione in via d’urgenza e basterebbero solo 24 ore ma a quel punto lo scoglio potrebbe diventare la modifica dei documenti d’indirizzo, annuale e pluriennale, di Palazzo Sansedoni che non prevedono investimenti in partecipazioni bancarie. Ultimo dettaglio, non certo in ordine d’importanza, è il fatto che l’ultimo semaforo verde dovrebbe essere acceso proprio dal Mef, azionista di maggioranza.
C’è poi un precedente, nel castello dei destini incrociati di banca e Fondazione Mps, successivo alla battaglia estenuante per il 51 per cento, che evoca l’odierno. Era fine dicembre 2013 quando la proposta di aumento di capitale da 3 miliardi targata dal duo Profumo-Viola, fu bocciata dall’assemblea degli azionisti e dall’allora presidente di Palazzo Sansedoni Antonella Mansi quando la Fondazione deteneva il 33,5% della banca. Anche in quell’occasione fu paventata l’ipotesi di una partecipazioni delle Fondazioni Bancarie e l’allora presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti tranciò l’intento: “Assolutamente non è proponibile che le nostre fondazioni partecipino ad un aumento delle quote, semmai a operazioni di dismissioni” e poi ancora: “Ci vogliono cacciare dalle banche in cui siamo azionisti, ci mancherebbe che investiamo in azioni di altre banche”. Nove anni sono passati ma troppa poca acqua sotto i ponti evidentemente è trascorsa perché l’ipotesi di una Fondazione salvabanca sia definitivamente affogata.
Cristian Lamorte