Il Tesoro non ha fretta di uscire da Mps con l’ad Lovaglio che rassicura sul consolidamento. Ma intanto cade ancora in Borsa (-6,6% a 2,39 euro), penalizzata dal rischio che il Tesoro collochi sul mercato un pacchetto consistente di azioni, tra il 5 e il 10% del capitale, con l’obiettivo di alleggerire la sua quota e avviarsi lungo la strada che entro il 2024 dovrà portare lo Stato fuori da Siena, come previsto dagli accordi con la Ue.
Come riporta Ansa, in due sedute il Monte ha perso a Piazza Affari quasi l’11%, in un clima di volatilità che si sta esacerbando dopo che, ad inizio settembre, il tema della privatizzazione è tornato d’attualità, non senza frizioni nella maggioranza di governo, dove Forza Italia spinge per uscire e la Lega frena.
Ad innescare le vendite è stato Il Messaggero che, tornando su indiscrezioni che si inseguono da un po’ di tempo, ha ipotizzato che sul mercato possa arrivare l’8% del capitale, da liquidare in tutto o in parte già entro la prima decade di ottobre, e a cui non è escluso che in futuro facciano seguito ulteriori cessioni. Per gestire la vendita via XX Settembre, che di Mps detiene il 64,2%, si sarebbe affidata all’investment bank Equita. Quando nel febbraio 2023 Axa liquidò l’8% allora in suo possesso con uno sconto del 15% sui prezzi di mercato, Mps perse l’8% in una seduta. Dal Tesoro, dove si respira una certa irritazione, viene ribadito che il Monte verrà privatizzato secondo le modalità già decise dal Parlamento ma che non c’è nessuna fretta e che si sceglierà il momento più opportuno, allo scopo di valorizzare la banca al meglio e garantire il perseguimento dell’interesse pubblico, in linea con quanto dichiarato dal ministro Giancarlo Giorgetti (“risolveremo senza farci dettare tempi da nessuno”).
“Credo che il nostro compito come management sia di essere focalizzati a far emergere ancor di più il valore della banca, il resto è un tema che riguarda più l’azionista”, ha detto l’ad Luigi Lovaglio a Class Cnbc, sottolineando come Siena sia ormai una “banca normale” a livello di asset, redditività e solidità, con risultati superiori al piano e la “capacità di generare ricavi anche quando questa euforia” sui tassi “andrà a scemare”. Quanto alla tassa sugli extraprofitti, stimata da Lovaglio “attorno a 120 milioni” per Siena, è “logico” attendersi che Mps la schivi accantonando a riserva una somma pari a 2,5 volte il suo ammontare.
“Il rischio di overhang di un collocamento (cioè di un grande afflusso di azioni che il mercato faticherebbe ad assorbire, ndr) sta crescendo e potrebbe non andarsene nel caso in cui venissero valutate ulteriori vendite entro giugno 2024”, scrivono gli analisti di Mediobanca, secondo cui il tema della fusione è rinviato al 2024-2025 complice la mancanza di candidati al momento disponibili. “La dimensione è importante” e “credo che un processo di consolidamento sia qualcosa che il mercato deve aspettarsi”, ha detto Lovaglio.
Mps “ha le carte in regola per poter restare sola ancora a lungo e rappresentare, in futuro, il punto di partenza per la realizzazione dell’auspicato terzo polo”, ha dichiarato il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni, sollecitando il governo a chiedere alla Ue un nuovo “rinvio del termine per l’uscita” dal capitale. Una riduzione della quota permetterebbe da un lato al Tesoro di accompagnare Siena nel risiko con una partecipazione meno ingombrante e dall’altro offrirebbe segnali di buona volontà alla Ue, in attesa che si sblocchi il cantiere delle aggregazioni.
All’interno del governo si vedrebbe con favore la creazione di un terzo grande polo bancario nazionale, accanto a Intesa e Unicredit, da realizzare attraverso una fusione o con Banco Bpm o con Bper. Ma nessuna delle due banche appare al momento disponibile mentre Unicredit difficilmente tornerà a guardare il dossier a condizioni peggiori di quelle, estremamente punitive, che chiedeva nel 2021.