Il Tesoro ha annunciato, con una nota, l’avvio del processo di selezione per «l’individuazione dei consulenti finanziari e legali che assisteranno il Ministero dell’economia e delle finanze nell’individuazione delle migliori modalità di dismissione della partecipazione di controllo nella Banca Monte dei Paschi di Siena e forniranno tale supporto in tutte le fasi di attuazione dell’operazione»
In base a quanto stabilito dal DPCM del 16 ottobre 2020 – prosegue la nota -, la cessione potrà essere effettuata, in una o più fasi, attraverso il ricorso singolo o congiunto a un’offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, ivi compresi i dipendenti del Gruppo Banca MPS, e/o a investitori istituzionali italiani e internazionali, ovvero a una trattativa diretta da realizzare attraverso procedure competitive trasparenti e non discriminatorie, oppure ancora a una o più operazioni straordinarie, ivi inclusa un’operazione di integrazione”. “Obiettivo del Ministero è la piena valorizzazione della partecipazione, da realizzarsi nell’interesse della Banca e di tutti i suoi azionisti, tenuto conto del miglioramento della redditività e dell’accresciuta patrimonializzazione, nonchè delle prospettive di ulteriore sviluppo”, conclude il ministero.
Per il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sarà in ogni caso difficile riuscire a recuperare i 7 miliardi di euro iniettati a Siena prima con la ricapitalizzazione precauzione del 2017, costata alle casse dello Stato 5,4 miliardi, e poi con l’aumento di capitale da 2,5 miliardi del 2022, a cui i contribuenti hanno destinato 1,6 miliardi. Pur in decisa ripresa, grazie all’azione di risanamento dall’amministratore delegato, Luigi Lovaglio, la banca capitalizza infatti 3,3 miliardi e la quota del Mef vale 2 miliardi.
L’avvio del processo di selezione degli advisor arriva dopo che sulla vendita di Siena c’è stato un acceso dibattito nella maggioranza di governo, con il vicepremier Antonio Tajani, a premere sul pedale dell’acceleratore e la Lega a tirare la leva del freno. Il tutto mentre i rumor su un possibile collocamento in Borsa di un consistente pacchetto azionario – il Mef può dismettere fino al 14% senza perdere il controllo di diritto della banca – provocavano più di una turbolenza e costringevano il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a chiarire come il Mef non avesse “necessità di fare cassa” ma l’obiettivo di “costruire un polo forte bancario”.
A imporre allo Stato di vendere è la Ue, con un termine che dovrebbe scadere, dopo essere stato già prorogato una volta, nel 2024. L’obiettivo appare però non facile, se non altro per mancanza di pretendenti. Le candidate naturali per la costruzione del terzo polo – Banco Bpm e Bper – non ne vogliono sentir parlare. Il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, ha ribadito qualche giorno fa che la sua banca, che a dicembre presenterà un piano stand alone, non ha “alcuna intenzione” di aggregarsi con Mps. Stesso discorso per Bper che il mercato vede diretta verso la Popolare di Sondrio sotto la regia di Unipol, primo azionista di entrambe. Non bastasse, l’ad Piero Montani ha categoricamente escluso appena una settimana fa il minimo interesse per il Monte. Da Siena si tiene lontana anche Unicredit, sfumate le nozze per cui le 2021 aveva chiesto al Tesoro una dote di 8 miliardi, mentre a sfavore del Credit Agricole, che pure a interesse ad ampliare la rete distributiva dei suoi prodotti, gioca la casacca francese.