La conoscenza è l’arma più importante per una civiltà dell’abitare attivamente. Da questa considerazione si è sviluppata la serata ideata dai giornalisti Antonio Cipriani e Valentina Montisci, che da anni hanno scelto la Val d’Orcia come loro casa, per parlare del futuro del loro territorio, raccontato dalla voce di chi lo vive quotidianamente. “Paesaggio bene comune. L’abitare civile e il suo futuro in tempi di democrazia. Chi racconta la Val d’Orcia? La comunità ha voce?” è stato il titolo dell’iniziativa che ha raccolto le testimonianze di chi, spesso, non ha voce superando quella narrazione a senso unico della strategia comunicativa dominante che presenta la Val d’Orcia come un porto di mare, turisticamente da “colonizzare”.
“Ci piaceva – racconta l’iniziativa Antonio Cipriani, giornalista e ideatore dell’evento – mettere insieme queste parole ‘Paesaggio’ come l’insieme di ciò che vediamo non nel panorama ma l’insieme degli esseri umani che lavorano, gli esseri umani che vivono dentro un abitare civile; e ‘Bene comune’ che è desueto come concetto ultimamente, perché sovrastato da una serie di egoismi e di arroganze che vengono fuori. Allora l’idea era questa: la comunità ha ancora voce? Ha possibilità di parlare di qualche cosa, di prendere parola?”
Le voci più interessanti sono quelle delle giovani e dei giovani che hanno scelto di vivere e investire in Val d’Orcia. Forze e impegno che vanno controcorrente rispetto all’omologazione sia sul piano economico che su quello narrativo, disegnando un presente e un futuro a misura di uomo e di territorio.
“È proprio il lavoro dell’agricoltore a plasmare il paesaggio – spiega la giovane agricoltrice valdorciana Andrea Bassetti -. Quindi, parlando di paesaggio, mi è venuto spontaneo parlare dell’agricoltura, del lavoro agricolo. Ho voluto dare un accento sull’importanza di ristabilire un contatto tra l’aspetto rurale e la comunità che vive i paesi. Secondo il mio punto di vista, c’è un grande scollamento tra queste due forme di abitare questo territorio che ha una grandissima tradizione agricola che ci stiamo dimenticando. Si è perso un po’ di pezzi in qualche generazione e quindi si perderà la nostra identità, non sapremo più chi siamo, cosa facciamo: si fa agricoltura? Chi la fa? Si sta ospitando solo turisti o si continua ad essere anche agricoltori?”
“Quello che cerco di portare è un punto di vista di una under 35 ritornata – spiega Malika Bamaarouf, Geografa umana e Mediatrice familiare -, una persona che è riuscita ad apprendere molto dall’urbanità e dal senso collettivo. Una persona che cerca in qualche modo di riportare delle tecniche nuove e di progettare le politiche territoriali, riportando di nuovo voce alla comunità. Quello di cui mi occupo io sostanzialmente è capire il modo in cui le persone si relazionano al territorio e come poi riuscire a sviluppare dei servizi di welfare che possano rispondere alle esigenze di quello specifico territorio, attraverso i cambiamenti culturali che affronta”.