Una presentazione inusuale per i Ragazzi del ’53 che sono stati insigniti della medaglia di pubblica riconoscenza. Massimo Reale ha interpretato in maniera teatrale il testo scritto da Massimo Biliorsi.
La presentazione
Inclito pubblico, autorità presenti, senesi tutti: sono venuto, mio malgrado qui, costretto dall’autore Massimo Biliorsi a parlare dei Ragazzi del ’53, che inspiegabilmente avete deciso di premiare. Lasciatevelo dire: state commettendo un grosso errore!
Evidentemente non sapete cosa state facendo, come spesso accade in questo labirinto chiamato Siena.
Una medaglia di civile riconoscenza ai Ragazzi del 53? Ma stiamo impazzendo? Che hanno di così speciale? In fondo vengono solo prima di quelli del 54 e hanno dovuto aspettare a veder nascere tutti quelli del 52. Cose che succedono a Siena.
Insomma, questo premio è un pericolo: la città dimostra che non è più quella di un tempo. Potremmo aggiungere che si stava meglio quando si stava peggio, che forse grazie a loro la chiave non si lascia più all’uscio di casa, che il Palio non è più quello di una volta, che adesso comandano i fantini, che i tombini non reggono più i temporali e tante altre dolorose affermazioni.
Colpa di loro? Probabilmente sì: dal quel lontano 1993 quando decisero di mettere in scena la prima commedia musicale, non abbiamo avuto più pace. Non li bastava essere stati compagni di scuola, di giochi, di lavoro, di frequentarsi come gruppo dal 1983. Volevano ancora stare insieme e magari divertirsi, nonostante mogli, figli, Contrade e altri accessori.
Si presentarono alla città con “Il trionfo dell’odore” di Mario Verdone nel glorioso spazio del Teatro delle Due Porte. Andavano bloccati sul nascere. Invece niente.
Dove ti giravi c’era un ragazzo del 53. Voltavi un angolo e trovavi un manifesto, un segno della loro invadenza. Un incubo durato molti anni e quello che è peggio non è ancora finito. Ci portavano parole un po’ strane: amicizia, allegria e solidarietà. Uomini d’onore, per roba di altri tempi.
Ma cosa mai fanno in palcoscenici come questo? Sotto le mentite spoglie di scellerate parodie, ci raccontano che “L’uomo non è di legno”, che “Ogni vela ha il suo vento”, “Persiane chiuse”, di misteriosi casi come di quello del sarcofago affollato. Recitando e cantando, anno dopo anno, copione dopo copione, scritti tutti da loro. Approfittavano della grande storia per decifrare a modo loro questo presente. Hanno avuto la pretesa di raccontare il cambiamento lento ma inesorabile dei tre colli. Dall’opulenza farlocca della “Siena da bere” al crollo di un mito.
Tutti attorno cadevano inesorabilmente e loro no, cantavano in allegria pregi e difetti dei senesi, mettevano su una commedia dell’arte di stampo settecentesco, un turbinio di colori e voci, schiamazzi e doppi sensi dove gli uomini interpretavano parti femminili e quant’altro, addirittura quelle maschili.
Senza il minimo ritegno, senza nessuna vergogna. Intanto la città attorno era perfetta, senza un difetto, loro invece i “non pregi” li mostravano tutti. La città guardava con attenzione a tutti e loro, testardi, pretendevano di volgere tutte queste operette, ne abbiamo contate ventuno, in “tutto esaurito” i cui incassi andavano in beneficenza, raccogliendo una cifra totale che è oggi intorno ai centomila Euro. Ma che c’era bisogno? C’era poi necessità di aiutare la Misericordia, l’Azienda Ospedaliera, la Casa di Riposo del Campansi? Ma chi glielo aveva chiesto? Di portare queste parodie in luoghi destinati al ricovero di quei senesi che avevano avuto l’ardire di invecchiare?
E poi anche con il terremoto in Abruzzo si erano messi a discutere, sostenendo di persona il piccolo centro di Sant’Eusanio Forconese.
Insomma, il mondo era così perfetto e questi Ragazzi del ’53 stavano cominciando ad essere un po’ scomodi. Anche in scena: pronti alla battuta, all’ironia, al sarcasmo di chi impersonifica l’ultimo, il diverso, l’ingombrante.
Ecco, la parola giusta: i Ragazzi ingombranti. Quando poi nel 2005 decisero, con la complicità inaspettata del maestro Alberto Inglesi, di offrire il Masgalano dell’anno, si raggiunse il massimo. Loro che premiavano tutti quei giovani seri, composti, eleganti che sfilavano sul tufo era un detestabile controsenso.
Non c’era più religione, del resto il loro credo ci è sempre un po’ sfuggito e nessuno avrebbe auspicato che la città li volesse oggi premiare, invece di confinarli al Pisciolo di Piscialembita, oppure in qualche angolo del Chianti per magari scherzare con i Santi di terza serie.
Ed invece eccoli, come in una loro operetta fatta oggi dal vivo e felicemente improvvisata, in Piazza del Campo al numero 1, vicino alla stanza dei bottoni o, come direbbero subito loro con quella disarmante ironia, alla stanza dei pottoni.
Sia chiaro: Massimo Reale e Massimo Biliorsi si dissociano dunque da questa scelta. Non saranno mai complici di chi fa dell’ironia una terribile arma. Da quell’ironia da dove prende vita quella strana voglia, quel desiderio di gridare che gli uomini hanno chiamato spesso con la parola libertà. Tanto che mi viene, in questo finale, da chiedermi: ma c’era davvero bisogno di questo continuo esercizio di tolleranza, di umanità, di ricchezza d’animo, di voler profumare costantemente il pubblico con due gocce di sarcasmo?
Noi non condividiamo, lo abbiamo detto, tuttavia, cari intoccabili senesi, se non sapete ridere di voi, è bene che qualcuno lo faccia!
Intanto, purtroppo per tutti noi, i Ragazzi sono rimasti Ragazzi e vi aspettano il 20 e il 21 ottobre, qui, su questo palcoscenico. I loro settant’anni sono un altro irriverente colpo di coda al tempo che passa, alla vostra serietà. Sì, faranno una nuova operetta che riassume un lungo cammino, un percorso. Ricorderanno quelli che apparentemente non ci sono più, persi dal gioco della vita, che guardano dall’alto i loro amici di notti felici e profonde. Perché loro lo sanno, si muore solo quando si dimentica e quando siamo dimenticati.
Insomma, sono ancora a vostra disposizione: corpo, anima e interiora!