La presentazione di Luca Luchini per la medaglia di civica riconoscenza a don Sergio Volpi consegnata nel corso della cerimonia che si è svolta alla Santissima Annunziata.
“L’arte dell’apparire, anzi dell’apparenza come viene definita in psicologia, il bisogno costante di essere al centro dell’attenzione, di indossare una maschera e recitare una parte che non ci appartiene, rappresenta una vera e propria patologia per una moltitudine di individui disposti a fare qualunque cosa per emergere e acquisire fama e popolarità.
E non si tratta di un fenomeno recente, legato all’esplosione dei social, dove soltanto la conquista di tanti “Mi piace” fa sentire accettati, ammessi, legittimati, se è vero che tale comportamento viene catalogato in medicina come il Complesso di Erostrato, un giovane pastore di Efeso che nel 365 a.C, per passare alla storia (e c’è riuscito!), dette alle fiamme e distrusse il tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo.
Don Sergio Volpi, il sacerdote al quale la città di Siena, oggi, su proposta della contrada della Lupa, assegna la medaglia di civica riconoscenza, fortunatamente ha saputo scegliere un’altra strada, del tutto opposta, basata sui principi evangelici di servire gli “ultimi” e gli emarginati, anteponendo ai propri interessi quelli di chi si trova in difficoltà, qualunque sia la sua nazionalità o razza.
E la vita quotidiana di don Sergio conferma nelle molteplici attività in cui è protagonista. grande modestia e totale disponibilità verso tutti i suoi fratelli, specialmente quelli costretti a vivere nell’indigenza e in condizioni a volte disumane.
Tutto fatto, però, con grande naturalezza, senza mai mettersi in evidenza, sempre pronto a lasciare agli altri gli onori della cronaca, anche quando gli spetterebbero di diritto.
Così, rinunciando a salire sul pulpito, senza ricordarci le nostre debolezze e carenze, don Sergio, condividendo la sofferenza dei più deboli e alleviando il loro disagio, rappresenta per tutti noi un fulgido esempio di come dovremmo interpretare la nostra terrena esistenza.
Nato a Todi, dopo una sosta a Castelnuovo Berardenga, dove risiedevano i parenti paterni, mezzadri nei poderi del conte Chigi, ancora piccolo, nel 1948, don Sergio approda con la famiglia a Siena, nella parte alta di Vallerozzi, a pochi passi da un rimessaggio che per molto tempo la contrada della Lupa nei giorni del Palio affittava per adibirla a modesta stalla, realtà ben diversa da quelle sfarzose e lussuose “case del cavallo” che oggi siamo abituati a vedere.
Appena undicenne entra in seminario e questa scelta necessariamente riduce i suoi rapporti con i coetanei del rione e la sua frequenza in contrada, relazioni che ritroverà negli anni, riallacciando solidi legami con tutte le componenti lupaiole, conquistando la fiducia e l’amicizia anche di generazioni anagraficamente ben distanti dalla sua.
Gli ultimi anni degli studi in seminario, con la sua ordinazione a sacerdote nel 1969, propongono grandi cambiamenti a livello internazionale e una ventata di trasformazioni anche all’interno della Chiesa che si apre alle istanze del mondo moderno e contemporaneo sulla scia del rinnovamento ecclesiale suscitato dal Concilio Ecumenico Vaticano II°, e che sicuramente influenzeranno in senso positivo la sua futura missione.
Monteroni d’Arbia, Quinciano, Cuna, Torre a Castello, Belverde e successivamente la parrocchia del Corpus Domini in San Miniato alle Scotte, unita a quelle di Basciano e Vagliagli, perché limitarsi a San Miniato, quartiere molto popolato e abbastanza complesso, sarebbe stato troppo agevole, hanno modo di apprezzare le sue qualità ed il suo impegno.
In tutte queste esperienze, oltre alle normali mansioni legate alla sua missione, don Sergio cura in maniera particolare non solo gli aspetti caritatevoli, ma anche quelli socio aggregativi, fedele a quella che è la sua visione della vita. Stare insieme, socializzare, trascorrere innocenti momenti di serenità ed allegria sono il modo migliore per onorare il cammino terreno che il Signore ci ha regalato, e per fortificare gruppi che si possano poi impegnare a sostegno dei fratelli meno fortunati.
Così, senza naturalmente trascurare le fasce di età più avanzate, che rientrano nelle categorie deboli e fragili da sempre da lui privilegiate, ovunque é stato don Sergio si è dimostrato un eccellente polo di aggregazione per bambini, adolescenti e giovani, organizzando giochi, gite, camminate, ritrovi spirituali, campi estivi e numerose altre attività che hanno permesso a tanti ragazzi di crescere serenamente in un ambiente sano, valido incubatore per gettare solide basi per il futuro, lasciando dietro di sé un ottimo ricordo e tante consolidate amicizie.
Intensa anche l’attività con i Boy Scout, associazione nella quale ha militato fin da ragazzino e ha frequentato per numerosi anni anche come assistente spirituale, ruolo che ricopre anche nel Gruppo adulti dell’Azione Cattolica.
Nella salda convinzione che per richiedere l’aiuto degli altri occorre dare il buon esempio, don Sergio inizia ad impegnarsi, senza mai risparmiarsi in prima persona, nella raccolta di abiti usati, stracci, mobili e quant’altro possa servire per raggranellare un po’ di denaro e sostenere i tanti bisognosi chi si trovano in difficoltà economiche.
In seguito stipula accordi con negozi, supermercati e bar per ritirare quei generi alimentari (pane, dolci, alimenti cotti), non vendibili il giorno dopo, che quotidianamente verrebbero gettati, vero e proprio spreco e offesa alle necessità di tanti nuclei familiari. Tutto viene distribuito direttamente in parrocchia la sera a numerose famiglie, contattate personalmente al telefono. E non si tratta davvero di un impegno di poco conto, ma coerente con quanto Gesù disse agli apostoli dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci: “Raccogliete i pezzi avanzati perché nulla vada perduto!”
In questa miriade di attività, con un brulichio continuo di persone che vengono a prendere e altre che donano, I locali della parrocchia si trasformano così in un grande deposito di generi e articoli diversi, ricevuti grazie alla generosità di anonimi cittadini che si fanno coinvolgere dal carisma di don Sergio, contribuendo a far felice chi non avrebbe potuto permetterseli.
Per far tutto questo, naturalmente, don Sergio si avvale da sempre dell’aiuto di un nutrito gruppo di collaboratori (parrocchiani, pensionati, contradaioli, giovani del servizio civile, universitari), che sul suo esempio hanno deciso di donare il loro tempo libero alla causa dei più deboli. E una parte del riconoscimento assegnato oggi a don Sergio spetta di diritto anche a loro.
Un impegno da navigato manager, sempre disposto però a svolgere i servizi più umili e semplici, per cercare, come afferma sorridendo, di imitare Gesù: alle nozze di Cana il Salvatore trasformò l’acqua in vino, lui cerca di convertire, e ci riesce, vecchi stracci in generi alimentari e medicine.
Sempre sorridendo, don Sergio confessa di servirsi lui stesso, talvolta, alla “boutique” di San Miniato, per provvedere al suo personale abbigliamento, con la possibilità di mettere quanto risparmiato nella cassa comune per i futuri bisogni collettivi. In questa occasione, però, (questo è un piccolo gossip) i suoi parrocchiani lo hanno costretto, e sottolineo costretto, a comprarsi un bell’abito nuovo.
Il mondo però non si ferma ai confini delle nostre parrocchie o della nostra pur bella città ed allora don Sergio, anticipando le parole di Papa Francesco: “Non serve per vivere, chi non vive per servire. E’ il servizio, infatti, che dà senso alla vita”, nel 1995 inizia ad accogliere profughi dall’Albania, Paese precipitato nel caos con violenze e morti che causano una forte ondata d’emigrazione verso l’Italia. I primi esuli sono ospitati nella casa parrocchiale a “Le Tolfe” e successivamente viene organizzato dalla Prefettura un campo profughi a Palazzetto. In seguito don Sergio porta personalmente aiuti a Valona. In dieci anni, con un furgone, vengono effettuati circa 60 viaggi, con carichi di medicine, generi alimentari ed indumenti.
Poi, consapevole dell’importanza che l’istruzione scolare può avere nella rinascita di un popolo in difficoltà, approfittando della chiusura di un certo numero di scuole private, materne ed elementari, don Sergio si attiva per portare e spedire capienti camion con grandi quantità di cattedre, lavagne, banchi, sedie e carte geografiche in varie scuole di Valona.
“La pace non è un sogno: può diventare realtà”, affermava Nelson Mandela, ma nel mondo non ci sarà mai pace fino a che non si rispettano la vita dell’uomo e i suoi diritti, e alla fine degli anni ‘90 la guerra nel Kosovo provoca una nuova enorme massa di profughi. Nella nostra regione la Caritas predispone due centri per inviare indispensabili aiuti e, inutile dirlo, quello per la Toscana sud è a San Miniato, dove si recupera e seleziona un’enorme quantità di materiale più disparato. Anche in questa occasione l’esempio di don Sergio è trainante e tanti si impegnano in prima persona, oltre che con sostanziosi aiuti economici.
Nel frattempo viene raccolta anche un’ingente mole di mobili che servono ad arredare le case di numerosi extracomunitari, quelli più fortunati, che hanno trovato un alloggio, sia pure modesto e spoglio.
Dal 1995 don Sergio dedica la sua attenzione anche ai parenti di ospedalizzati, provenienti da quasi tutte le regioni d’Italia che, privi di risorse, passano le nottate su una sedia per portare calore ed affetto ai propri cari. L’avviso esposto in ospedale che offre accoglienza nella casa canonica di San Miniato dà vita ad un fiume in piena e da allora sono centinaia le persone che hanno usufruito di questa possibilità offerta loro dalla Divina Provvidenza, grazie anche al contributo della Caritas e della Fondazione MPS.
Parlando di Caritas, il gruppo parrocchiale di San Miniato è collegato e gode del contributo di altri 20 centri, dislocati da Colle Val d’Elsa ad Asciano, da Capolona (Ar) fino alla Saline di Volterra. Un duro e costante lavoro che non si limita al reperimento, all’organizzazione e la distribuzione di viveri e vestiti, ma si amplia a lezioni scolastiche per i più piccoli.
Consapevole che siamo tutti fratelli, indipendentemente dalla nazionalità, razza, colore, o religione professata, don Sergio rivolge la sua attenzione anche verso il Malì, in Africa, dove in vari villaggi vengono realizzati pozzi, ponti, orti e costruite scuole e ambulatori.
Nonostante i pericoli derivanti dalla piaga del terrorismo, nel piccolo ed efficiente ospedale della diocesi, don Sergio ha collaborato per attrezzare una clinica oculistica, rifornita di adeguati medicinali, dove grazie anche all’infaticabile disponibilità di due medici oculisti lupaioli, i coniugi Gianluca Martone e Patrizia Pichierri, con l’ausilio dell’interprete Federica Olla, altra lupaiola, un numero incredibile di pazienti ha potuto beneficiare di visite e interventi di cataratta.
Oltre al Malì, il grande cuore di don Sergio si è proiettato anche in Camerun sostenendo un sacerdote locale che ha studiato in seminario a Siena. Nel villaggio di Kay Liang, dove soltanto da poco è arrivata l’acqua pulita, grazie ai fondi raccolti da don Sergio è stato allestito un ambulatorio medico che serve altri 19 villaggi e che dispone anche di levatrice e sala parto (e non possiamo neppure immaginare l’importanza di questa struttura!). Attualmente è in fase di costruzione un impianto fotovoltaico che a breve fornirà la necessaria energia elettrica. Per poter meglio aiutare questi fratelli bisognosi nel 2017 è stata costituita la Onlus per l’Africa “…a riveder le stelle”, che oggi annovera 125 soci e gode di generose donazioni.
Insomma, se Papa Francesco recentemente ha fatto amare riflessioni su una società “che corre troppo, indaffarata e indifferente”, don Sergio è sicuramente indaffarato, ma mai indifferente.
Tornando a San Miniato, agrodolce (forse più agra che dolce) è stata la vicenda della travagliata ristrutturazione e messa in sicurezza della nuova chiesa, fortemente voluta da don Sergio, che lo ha impegnato per anni sia sul piano economico che di impiego di energie, ma che adesso (dopo soli 5 lustri!) sembra finalmente essere arrivata a conclusione.
Per quanto riguarda il suo ruolo di correttore della Lupa non vorrei essere di parte, ma anche in occasione di recenti clamorosi successi, da tanto tempo agognati, è riuscito a restare in secondo piano pur condividendo con noi sincera gioia e soddisfazione. Unico suo rammarico, pur essendo sempre presente negli appuntamenti più importanti, quello di non poter frequentare la contrada con l’assiduità che desidererebbe, causa i numerosi impegni che deve quotidianamente assolvere, compreso quello di Rettore del Collegio dei Correttori delle 17 Consorelle, ulteriore segno di stima e apprezzamento anche da parte dei suoi colleghi. (E a tale proposito mi sembra giusto ricordare il grande spirito di solidarietà evidenziato in questi difficili tempi dal mondo delle contrade che hanno riscoperto la loro vera anima di mutuo soccorso)
Pur in questo contesto ufficiale mi sia consentita una riflessione su un aspetto un po’ più intimo, quello legato all’amicizia. Ho detto in precedenza che don Sergio è allegro, spiritoso (non di rado si cimenta anche con qualche divertente barzelletta) ed apprezza molto la convivialità. Tante serate, passate insieme a tavola, in contrada e non solo, di fronte ad un buon bicchiere di vino (e don Sergio se ne intende davvero!), a scherzare, ridere di niente, recriminare su dolorose sconfitte o gioire per trionfali vittorie, sono momenti insostituibili che hanno accresciuto la nostra sincera amicizia, capace di superare anche le restrizioni che abbiamo dovuto osservare negli ultimi tempi.
A volte il discorso scivola su cose più serie, ed anche in questo caso don Sergio non sale in cattedra per dare lezioni e non assume toni paternalistici, consapevole che il comportamento vale più delle parole, e per questo è stimato e rispettato.
Spesso si finisce col cantare le nostre dolci canzoni, sotto lo sguardo talvolta sorpreso ed ironico dei più giovani, ed in quel caso, talvolta, l’indiscusso capo coro don Sergio ci guarda in modo severo per la nostra sguaiatezza, tranne perdonarci subito ed attaccare, scuotendo la testa, qualcosa di più facile, alla nostra portata vocale.
E la serata quasi sempre termina quando, spossato per l’intensa attività sostenuta, si alza dichiarando: “Ragazzi, mi spiace non ce la fo più, bisogna vada a letto. Si canta l’ultima e me ne vo, sennò mi addormento qui!”.
Caro don Sergio Volpi, caro Sergio, siamo giunti alla conclusione. Oggi in questa splendida chiesa, per secoli parte integrante e cappella dell’antico Spedale di Santa Maria della Scala, dove tante attenzioni e cure sono state dedicate a sofferenti e bisognosi, pur con i limiti numerici imposti dall’emergenza attuale, idealmente a festeggiarti e ringraziarti con la medaglia di civica riconoscenza non ci sono soltanto le massime autorità senesi, compreso il cardinale Augusto Paolo Lojudice, le dirigenze delle diciassette consorelle, i colleghi correttori che degnamente rappresenti, i tuoi amici lupaioli, i parrocchiani delle realtà per le quali ti sei speso con passione e dedizione nel corso degli anni, ed il popolo tutto di Siena.
Insieme a noi ci sono anche i malati dell’ospedale ed i loro parenti che hanno trovato in te un porto sicuro, gli indigenti che hai accolto nella tua casa, e tutti quei poveri, indifesi, emarginati, la maggioranza dei quali non hai mai conosciuto, che grazie al tuo amore ed impegno hanno potuto alleviare le loro pene, migliorare la loro condizione economica e sociale, sognare un dignitoso futuro.
E tutti insieme, oggi, pregando il Signore che, seguendo il tuo esempio, indipendentemente dalla fede, ci faccia diventare più generosi, più concilianti, più disponibili verso il nostro prossimo, ti ringraziamo e ti dedichiamo un grande e affettuoso applauso, insieme alla riconoscenza della nostra Siena”.