“Un’operazione trasparente, l’aveva fatta anche l’Inter qualche anno prima”. L’ex patron della Robur Massimo Mezzaroma respinge ogni accusa relativa alla contestata cessione del marchio AC Siena per cui si trova a processo per bancarotta fraudolenta in concorso, insieme all’ex presidente di Mps Giuseppe Mussari e tre dirigenti di banca Mps. Ieri Mezzaroma è stato ascoltato dai giudici in aula per 3 ore, nel corso delle quali ha ripercorso i suoi anni senesi, fin dall’ingresso in società nel 2010 consolidando il rapporto tra l’azienda di famiglia impegnata nel ramo edilizio e l’istituto bancario “con Mps non voleva essere un’avventura, c’era un accordo quadro ad ampio respiro” fino all’operazione di cessione del ramo d’azienda attraverso la società veicolo B&W Comunication, effettuata con l’ausilio di banca Mps. L’iniziativa legata al brand, valutato 25 milioni nel 2012 (cifra ritenuta troppo alta dai magistrati) per le accuse sarebbe stata una sorta di “plusvalenza” per aggiustare un bilancio in forte perdita (70 milioni). “L’avevano fatta già altri club tra il 2007 e il 2008, anche l’Inter ad esempio, per 100 milioni – sottolinea l’ex patron Mezzaroma – ci affidammo a un team di professionisti, fu un’operazione trasparente”.
La deposizione ha toccato anche la fase finale della presidenza, fino alla dolorosa mancata iscrizione del 2014 che condusse al fallimento: “La banca era ovunque a Siena, il rapporto era inscindibile e Mussari mi garantiva che la banca non ci avrebbe mai abbandonato – racconta – ma dal 2013 non ci fu più la volontà di finanziare e con la fine del contratto di sponsorizzazione da 9 milioni si passò a zero. Morirono violentemente tutte le aspettative di sviluppo. Nel 2014 non salimmo in A per colpa della penalizzazione, il progetto stadio non andò in porto ed esausti non iscrivemmo il club, c’era anche la crisi immobiliare”.