E’ ormai diventato un volto noto a livello nazionale quello di Rino Rappuoli, virologo senese di fama mondiale da qualche tempo volto della nuova speranza contro il Covid-19, gli anticorpi monoclonali sviluppati dal suo team proprio a Siena. Ospite di Simona Sassetti nella prima puntata del nuovo format di Siena Tv “Siena in primo piano – on the road“, Rappuoli ha spiegato del suo rapporto con il lavoro, della pressione e la responsabilità che sente ogni giorno essendo veramente in primissima linea nella lotta al Coronavirus.
“Anticorpi monoclonali e vaccini sono due cose molto diverse, ma essenzialmente servono allo stesso scopo– spiega Rappuoli a Siena Tv – Quando diamo un vaccino questo deve generare gli anticorpi che provengono da una malattia, invece quando diamo gli anticorpi questi sono già fatti. Le due cose sono complementari, ma la differenza qual è? Gli anticorpi si possono dare a una persona sana, e dandoli oggi già da domani la persona è protetta per circa 6 mesi, ma si possono dare anche a persone ammalate e agiscono come cura. Il vaccino non è una cura, non può essere dato ai malati. Viene dato e dopo circa 45 giorni inizia a dare protezione e la dà per anni. L’approccio migliore sarebbe dunque anticorpi ora e poi vaccino”.
Il dibattito sui vaccini e le cure è stato in primo piano sul banco dell’opinione pubblica sin dall’inizio dell’emergenza, soprattutto riguardo a chi, quando sarà tempo, potrà sfruttare per primo la possibilità di riceverlo.
“Su chi avrà la priorità sui vaccini ne sta discutendo l’OMS – continua il virologo – è chiaro che prima andranno protette le persone più fragili: anziani, persone con particolari condizioni cliniche per le quali sono più a rischio, personale sanitario e poi via via verso tutta la popolazione”.
Il contributo di Rappuoli alla lotta al Coronavirus è stato ed è tutt’ora uno dei più importanti al mondo. A nobilitarlo non solo l’attenzione mediatica che gli è stata riservata negli ultimi tempi, ma anche i moltissimi premi ricevuti, non di certo una novità nella carriera del brillante virologo, ultimo tra tutti il Pegaso d’oro ricevuto oggi dalla Regione Toscana. Alla luce dell’importante contributo dato alla sanità mondiale con i suoi studi sugli anticorpi monoclonali, c’è anche chi ha parlato di una possibile candidatura al premio Nobel.
“Non ci penso – confida Rappuoli – Nel mondo ci sono tante persone importanti e intelligenti che hanno fatto scoperte con impatti importantissimi, la scelta è vasta e nel campo dei vaccini non l’ha mai vinto nessuno, quindi non credo che ci sia questa possibilità”.
Nonostante il successo internazionale, il suo legame con Siena non si è mai affievolito. E’ qua che continua a vivere e portare avanti i suoi studi a capo dei Gsk e Fondazione Tls. Una città, del resto, da sempre legata, nel bene o nel male, al mondo dei vaccini e delle pandemie.
“Siena è una città particolare per la storia che ha avuto con la pandemia, ne è una lezione – spiega – Nel 1348 era una città potente, che si stava espandendo e con in costruzione un Duomo che doveva essere il più imponente del mondo. Poi a Maggio è arrivata la peste, in tre mesi ha fatto fuori 2/3 della popolazione ed è finito tutto, lasciando a ricordo il Facciatone, che io chiamo “il Monumento alle malattie infettive“. Qui a Siena ora abbiamo le competenze, sappiamo fare i vaccini e i monoclonali e vorremmo avere le strutture così che la prossima volta, e ci sarà una prossima volta, non ci trovino impreparati“.