Alcuni ricercatori dell’Università di Siena in collaborazione con i colleghi danesi della Aarhus University – come riporta greenreport.it – hanno dato vita ad una interessante ricerca sulla correlazione tra i livelli di inquinamento e la letalità del coronavirus nel Nord Italia: si chiama “Can atmospheric pollution be considered a co-factor in extremely high level of SARS-CoV-2 lethality in Northern Italy?” ed è stata pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Pollution.
L’origine dell’analisi, portata avanti insieme all’UOC Reumatologia dell’Azienda ospedaliera universitaria senese con il prof. Bruno Frediani e il dottor Edoardo Conticini, vuole evidenziare come in persone sottoposte ad alti livelli di inquinamento le citochine infiammatorie che vengono rilasciate provocando le polmoniti sono persistentemente elevate anche nei soggetti sani, rappresentando un possibile cofattore alla base della maggiore letalità delle polmoniti da Sars-Cov-2.
L’indagine scientifica ha messo in relazione la letalità del virus, rapporto tra deceduti e contagiati, e il livello di inquinamento delle aree più colpite dal coronavirus. Tra cui appunto il nord italia, che secondo l’Air quality index elaborato dall’Agenzia europea dell’ambiente (e basato sulle concentrazioni di PM10, PM2.5, O3, SO2 e NO2), risulta tra le zone più inquinate d’Italia e d’Europa.
“Fino ad ora – spiega Dario Caro, ricercatore dell’Aarhus University con radici nel gruppo di Ecodinamica dell’Università di Siena e ideatore dell’articolo – gli unici fattori presi in considerazione erano il differente modo di contabilizzare contagiati e deceduti, e l’anzianità della popolazione. Ma lo stato di salute iniziale di quelle popolazioni è anche indotto dal livello di inquinamento atmosferico”.