Non ci stancheremo mai di ripetere l’importanza che hanno i collaboratori di giustizia e i testimoni di giustizia nella lotta alla mafia. Il libro di Luca Tescaroli “Pentiti”, presentato nella Sala Italo Calvino del Santa Maria della Scala, evidenzia però anche alcune criticità. Durante l’iniziativa “Pagine di Legalità”, che ha visto la presenza di Giorgio Bongiovanni, direttore di ANTIMAFIADuemila, Luigi Li Gotti, storico avvocato di molti collaboratori di giustizia e il giornalista e scrittore Ferruccio Pinotti, il Procuratore di Prato Tescaroli ha affrontato la storia, l’importanza e le insidie del fenomeno dei collaboratori di giustizia, analizzando il loro ruolo nelle indagini sulle organizzazioni mafiose e il dibattito politico e giuridico che li riguarda.
“È un dato di fatto che i risultati giudiziari che si sono ottenuti nell’ultimo quarantennio sono in larga misura riconducibili al loro apporto – afferma Tescaroli -, sia in termini di ottenimento di condanne passate in giudicato, sia in termini di individuazione di depositi di armi, di munizioni, sia con riferimento alla cattura di latitanti e quindi un apporto indispensabile a cui non si può rinunciare e che potrebbe essere oggetto di maggiore attenzione ad ogni livello. Inoltre è crescente la presenza di gruppi criminali stranieri nel nostro paese. Le mafie si evolvono e rispetto al passato ci sono gruppi albanesi, gruppi cinesi, gruppi nigeriani che stanno assumendo sempre più peso, quindi sarebbe auspicabile che il sistema normativo di assistenza e di protezione, previsto oggi solo per i cittadini italiani, venisse steso anche agli stranieri che agiscono sempre attraverso strutture articolate, improntate alla massima riservatezza, omertose, che potrebbero essere meglio contrastate con l’apporto di fonti interne, quindi di testimoni, di collaboratori di giustizia”.
Per Tescaroli è fondamentale rendere il sistema di protezione più forte ed efficiente. “Sarebbe auspicabile cercare di ristabilire il gap differenziale nel regime normativo tra gli irriducibili e coloro che collaborano – spiega -, perché a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale e delle pronunce della Corte Europea il regime previsto per gli irriducibili ha consentito di fruire di alcuni benefici penitenziari. Basti pensare alle liberazioni condizionali e i permessi premio. Di conseguenza è diventato meno vantaggioso collaborare, serve quindi pensare a soluzioni che rendano più appetibile il ricorso alla collaborazione. Ad esempio, oggi è previsto che il collaboratore debba permanere in carcere prima di accedere agli benefici per almeno 10 anni, se si pensasse di ridurre questo termine – spiega – diventerebbe più facile incentivare la collaborazione. Si potrebbe, inoltre, pensare di innalzare gli assegni che vengono erogati per consentire una vita più agiata dal momento che chi appartiene alle organizzazioni criminali fruisce di notevoli somme di denaro”.
Poi c’è la questione del cambio di identità. “Quale imprenditore potrebbe assumere un soggetto che ha commesso stragi e omicidi? – si chiede Tescaroli – occorrerebbe impedire che il passato criminale passi nelle nuove generalità che vengono attribuite”.