Sono passati esattamente 60 anni dalla tragedia della diga del Vajont. Era il 9 ottobre 1963 quando il disastro ambientale, dovuto alla costruzione della diga in un luogo non consono, uccise quasi 2000 persone. Per questa ricorrenza oltre 130 luoghi in Italia ospitano il racconto di quella diga, delle persone che hanno perso la vita e delle storie diverse legate a quel territorio tra Friuli Venezia Giulia e Veneto. L’unica piazza in provincia di Siena ad aver aderito alla “Rete di VajontS 23”, che ogni anno riporta alla luce questa tragica vicenda mista di omissioni, indifferenza e convenienze, è quella di San Quirico d’Orcia, grazie all’iniziativa dei giornalisti Antonio Cipriani e Valentina Montisci.
“Facciamo una lettura tra cittadini in libreria, dando la parola a tutti, per ricordare” spiega Cipriani. L’incontro di San Quirico d’Orcia prende spunto dall’eroico lavoro giornalistico di inchiesta di Tina Merlin, giornalista de l’Unità, che aveva previsto il disastro. La giornalista additata per anni come allarmista si trovò a documentare un rischio ambientale enorme, dando voce ai poveri montanari, contro il ricco sistema di connessioni tra politica, potere e interessi. Un silente sistema che ha lasciato che la tragedia accadesse, come fosse un rischio calcolato, come se fosse un evento naturale inevitabile. Vajont quindi come legittimo esercizio di memoria e di risarcimento morale alle vittime ma oggi anche come un memento a quello che abbiamo davanti: alle sfide della crisi climatica, al problema della siccità e alla fragilità idrogeologica. “Fece un’inchiesta civile, raccontando le voci, i diritti, le paure dei montanari – ancora Ciprini – nessuno li rappresentava, sopra le loro teste si addensava un potere politico ed economico che rese invisibile la criticità poi venuta fuori”.