Un nome e un cognome. Poi l’età, purtroppo spesso troppo giovane e infine il carcere in cui hanno deciso di togliersi la vita. Inizia così, con un lungo elenco letto dalla presidente della Camera penale di Siena e Montepulciano Michela Rossi, la maratona oratoria degli avvocati contro i suicidi in carcere. I numeri parlano da soli, sono stati 53 i suicidi da inizio del 2024 nelle carceri italiane. Un bilancio drammatico che ha raggiunto la punta estrema con i fatti di Sollicciano di alcuni giorni fa, quando un detenuto ventenne si è tolto la vita in carcere ed è scoppiata una rivolta. Il ragazzo aveva protestato molte volte per le condizioni disumane in cui si trovava, ovvero in una cella senza acqua, con i topi e le cimici. Dopo la sua morte, due sezioni sono state dichiarate inagibili, 80 detenuti sono stati trasferiti e anche i penalisti italiani hanno deciso di scendere in strada di fronte ai tribunali per dare voce a chi non può più parlare.
“Ogni morte è un fallimento del sistema – spiega Rossi – . La nostra camera penale con l’iniziativa vuole unirsi alla denuncia dell’inadeguatezza del nostro sistema penitenziario e soprattutto lo scopo dell’oratoria è proprio quello di sollecitare una riflessione non solo sullo stato dei nostri istituti penitenziari ma anche sulla funzione rieducativa della pena. Vogliamo dare voce a chi non può anche in considerazione del numero elevato di suicidi avvenuti dall’inizio dell’anno all’interno delle carceri italiani. Ma il sovraffollamento non è l’unica ragione dei suicidi. Dobbiamo prendere atto che a causa della carenza di personale specializzato e di spazi dedicati non si sta realizzando la principale funzione della pena che deve essere rieducativa. Non solo la mancanza di personale sanitario e degli strumenti necessari purtroppo in carcere non permettono di trattare adeguatamente soggetti con problematiche psichiatriche o anche semplicemente che necessitano di trattamenti di sostegno dell’umore o di depressione che possano portare a gesti estremi. Nonostante il Decreto del Ministro Nordio, prosegue la mancanza di un programma di serie riforme strutturali e di un ripensamento dell’intera esecuzione penale – aggiunge Rossi – per questo è compito delle Camere Penali da sempre dalla parte dei diritti dei cittadini e dei detenuti non può non denunciare l’indifferenza della politica di fronte al dramma del sovraffollamento ed alla tragedia dei fenomeni suicidari”.
Una ragione, dunque, sta nel sovraffollamento ma anche nella carenza di personale specializzato e di spazi dedicati alla rieducazione, principale funzione della pena. “Quando entrai a Santo Spirito la prima cosa che mi è stata detta era che i detenuti non vanno mai in vacanza e che sono quelli più silenziosi, che non si mettono mai in mostra, a dover essere ascoltati maggiormente – racconta Vittoria Cogliandro, referente del volontariato penitenziario della Misericordia di Siena, storica presenza a Santo Spirito -. Sono loro ad avere bisogno della nostra presenza, ma purtroppo dopo la pandemia abbiamo ridotto moltissimo il numero dei volontari e quindi ogni suicidio per noi è una sconfitta”. “Anche a Ranza negli ultimi tempi abbiamo riscontrato un aumento dei disagi psicologici e psichiatrici – aggiunge Camilla Ronca, responsabile del presidio sanitario della Casa di reclusione di Ranza – abbiamo quindi per questo creato uno staff dove ognuno di noi è una antenna per recepire tutti i segnali di disagio”.
La detenzione, nel corso dell’estate, rappresenta una delle condizioni più drammatiche dell’intera vita carceraria lo ricorda il garante dei detenuti del Comune di Siena Stefano Longo, che evidenzia come il problema aumenta in una situazione di sovraffollamento, presente anche nella casa circondariale di Siena dove sono settantatré detenuti, in crescita rispetto agli anni precedenti, su una pianta organica prevista di quarantasette unità di personale della Polizia Penitenziaria, di cui effettive solo trenta. “La situazione è di profonda difficoltà per il personale e per i detenuti – afferma Longo -. Tutto ciò si ripercuote inevitabilmente anche sulla qualità della vita detentiva nel suo quotidiano”.