Arrivano da uno studio del gruppo di ricerca del dipartimento di Scienze della vita dell’Università di Siena, promosso dall’Ente Parco Regionale della Maremma, indicazioni per un efficace monitoraggio della densità e dell’impatto sull’ambiente naturale del cinghiale, tema particolarmente importante per le aree protette e per la tutela degli habitat di interesse per la conservazione.
“La mitigazione degli impatti ecologici e economici del cinghiale – spiegano i ricercatori Francesco Ferretti e Niccolò Fattorini, autori della recente pubblicazione scientifica sulla rivista Mammalian Biology – è una delle sfide più importanti per la gestione della fauna selvatica a livello globale. Il monitoraggio è fondamentale per valutare l’efficacia di azioni volte a ridurre la densità di questo ungulato e i relativi impatti su habitat e agricoltura”.
I ricercatori dell’Università di Siena lavorano da anni sul monitoraggio delle popolazioni di ungulati, anche in collaborazione con enti territoriali come il Parco della Maremma, che ha fortemente incoraggiato e supportato questo studio. “L’Ente Parco realizza da numerosi anni un complesso di azioni mirate alla prevenzione dei danni alle colture, al monitoraggio e al controllo degli ungulati” – spiega la dottoressa Lucia Venturi, presidente del Parco Regionale della Maremma – “pertanto la conoscenza delle densità delle popolazioni di ungulati è fondamentale nella pianificazione gestionale”.
“La Toscana – proseguono i ricercatori – con il suo esteso patrimonio forestale è una delle regioni italiane con la più alta densità di animali selvatici, che rappresentano una componente di cui tenere conto nella gestione della coesistenza tra natura e attività antropiche”. Il metodo messo a punto per il monitoraggio, definito in precedenza in collaborazione con colleghi biologi e statistici dell’Ateneo senese e del Museo di Storia Naturale della Maremma, è stato ora ulteriormente sviluppato dai ricercatori attraverso la stima di un apposito fattore che consente di valutare la densità di animali attraverso la conta di escrementi in settori campione.
“Nel 2018 e 2019 – spiegano i ricercatori – abbiamo svolto rilievi con cui abbiamo sia stimato la densità di popolazione del cinghiale, sia individuato gli ambienti in cui sono più estesi i segni di “grufolamento”, cioè l’attività con cui il cinghiale cerca cibo scavando nel terreno, e che quindi sono più vulnerabili all’impatto di questo ungulato”. “L’applicazione ripetuta nel tempo – conclude la dottoressa Venturi – ci permette di comprendere la variazione della densità di individui in una determinata zona, per valutare gli effetti delle strategie di gestione messe in atto”.